“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.”. solo un proverbio? No, purtroppo è una contraddizione che spesso accade anche in azienda. Come mettere in pratica in modo fruttuoso ciò che viene deciso in sede di decisione degli obiettivi? Forse non tutti sanno che dietro una buona esecuzione c’è una forma mentis ben precisa...
Durante un periodo di crisi, ti chiedi cosa potrebbe dare una svolta alla tua vita: ci pensi e ci ripensi, e non ti viene in mente niente.
Poi un giorno, magari in seguito a qualcosa di inaspettato, o a qualcosa di ordinario improvvisamente diventato speciale, ti viene un’idea: anzi, una serie di idee e di cambiamenti da mettere in atto nella tua esistenza, grandi o anche piccoli: si può partire dall’iscrizione a un corso di canto, fino a cambiare lavoro. Ed ecco che, già nell’immaginazione, la vita comincia a cambiare, a prendere un corso più fluido e felice, e sei già più contento di rimetterti a fare le solite cose, perché hai una nuova speranza nella testa.
Solo che poi… quante di queste idee riesci a mettere realmente in pratica? Quante di queste “strategie di miglioramento”, te le sei già scordate semplicemente dopo aver fatto passare qualche ora dall’esaltazione iniziale?
Questa che abbiamo appena descritto è probabilmente un’esperienza comune alla maggior parte delle persone… ma esiste anche nelle aziende!
Molto poche sono, infatti, le imprese che possono dire di aver messo in pratica la maggior parte delle volte tutti gli obiettivi previsti nella strategia aziendale.
Ecco perché è importante investire nel miglioramento… dell’execution.
Letteralmente, in inglese questa parola significa “esecuzione”, “svolgimento”, “attuazione”: inserendosi nel contesto aziendale, essa indica tutti quei processi che fanno sì che una strategia venga messa in pratica.
Ti sembra qualcosa di scontato? Qualcosa che non meriterebbe un termine a sé, una scienza a parte? Invece è proprio così: come prima abbiamo esemplificato l’esperienza che ognuno di noi potrebbe aver fatto in molti momenti della sua vita, ovvero quella di rimandare obiettivi per lui importanti perché sopraffatto dalle cose da fare, la stessa cosa succede nelle aziende, soprattutto quelle più grandi.
D’altronde, non è forse famoso il detto “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”?
Inoltre, se già è difficile per una persona singola individuare e fare chiarezza fra gli obiettivi più “realizzabili” e quelli meno, per poi progettare una strada percorribile, le difficoltà che si aggiungono quando c’è da coordinare un gruppo sono facilmente immaginabili.
Inoltre, nel mondo contemporaneo, c’è da scontrarsi anche con una realtà in continuo movimento e sempre più complessa nelle sue parti.
In certi casi, la messa in opera di un processo ha addirittura più valore della bontà dell’idea iniziale: non è forse vero che un’opera imperfetta, ma esistente, è molto meglio di un’idea perfetta, ma non esistente?
Nel suo libro “The Four disciplines of Execution”, Chris McChesney, nostro ospite al World Business Forum, afferma che, molto spesso, quando una strategia non riesce a tradursi in azione, la maggior parte dei leader pensa che le persone a lui sottoposte siano il problema, e che se avesse collaboratori diversi riuscirebbe a raggiungere tutti gli obiettivi.
Ma, il più delle volte, non è così: da una ricerca internazionale condotta appositamente, è emerso come in realtà i problemi più diffusi in centinaia di organizzazioni, sia commerciali che governative, fossero in realtà sempre gli stessi, e quindi indipendenti dai singoli soggetti.
Fra questi problemi, McChesney ha evidenziato principalmente i seguenti:
McChesney individua una leva psicologica semplicissima, quanto mai abbastanza tenuta in considerazione: le persone in realtà VOGLIONO vincere, VOGLIONO essere in grado di costruire qualcosa di grande, grazie al loro contributo.
Quindi l’esistenza di questi problemi non dipende tanto dalla natura delle persone, ma probabilmente da come sono stati messi in grado di agire, o da come gli sono state presentate le azioni da compiere, o, appunto, da come sono stati loro spiegati gli obiettivi, e come potrebbero metterli in pratica OLTRE alle azioni quotidiane che già occupano la loro testa.
Come dice sempre Mc Chesney: le azioni quotidiane, quelle “normali”, “di routine”, che servono per mandare avanti il tuo lavoro, sono essenziali, e non farle ti ucciderebbe. Ma non perseguire un grande obiettivo oltre ad esse, ti ucciderà domani.
E la stessa cosa accadrebbe ai tuoi collaboratori.
Dunque, per questo migliorare la qualità dell’execution è essenziale per la qualità della vita tua e dei tuoi collaboratori: perché, riuscendo a coinvolgerli, dando loro responsabilità personali secondo il loro grado, in un grande obiettivo, (ovviamente da spiegare in modo comprensibile per ciascun grado di lavoro), riuscirai prima di tutto a renderli partecipi di un cambiamento di paradigma utile innanzitutto a loro, e, in seconda battuta, all’azienda.
Ma in che modo deve cambiare la visione di un leader per cercare di raggiungere la maggior parte degli obiettivi? Secondo gli studiosi Larry Bossidy e David Brandt, nel libro “Execution: the discipline of getting things done”, l’execution deve diventare un fatto “culturale” all’interno dell’azienda, un’”atmosfera”, quasi.
Ma quali potrebbero essere le idee di fondo, i concetti chiave, gli assiomi da tenere sempre davanti agli occhi per portare avanti questa “cultura”?
Proviamo ad identificarne alcuni:
E tu, quali fattori di “forma mentis” consideri più importanti per una esecuzione metodica e completa?