Non è vero che il futuro e l’innovazione non offrono opportunità di lavoro! Anzi, ci sono nuove professioni che mancano di candidati ideali. Il growth hacker è una di queste.
Nella realtà italiana i media puntano molta attenzione sulla disoccupazione giovanile.
Si parla meno del fatto che il settore digitale cerca sempre più persone, e in Italia il 22% di queste richieste non trova candidati adatti.
Secondo l’Eurostat l’Italia è il paese in cui la percentuale di giovani sotto i 35 anni impiegati nel settore ICT è più bassa: se la media europea è del 36,4 %, il nostro paese è fermo al 25,4%.
Modis Italia ha pubblicato da poco uno studio in cui ha parlato di digital mismatch, ossia l’esistenza di un gap tra numero di profili professionali ricercati dal mercato e persone in grado di rispondervi, con una grossa carenza di queste ultime.
Ma quali sono le competenze richieste dal settore ICT? Si richiede ai candidati di essere esperti nell’analisi dei dati, sviluppo dei software, digital marketing, design, user experience ed e-commerce.
Ma c’è una figura, negli Stati Uniti presente da tempo e in Europa ancora poco conosciuta, che deve avere tutte queste qualità fuse insieme in un equilibrio perfetto: questa persona è il growth hacker.
Non esiste un termine italiano specifico per tradurre questo termine; anche il classico “marketer” non gli si addice, come non è esaustivo l’uso comune della parola hacker come “pirata del web”.
Il nome di questa nuova professione è stato inventato nel 2010 da Sean Ellis per indicare ciò che lui stesso faceva in modo inimitabile: far crescere le Startup della Silicon Valley esponenzialmente in pochissimo tempo. Per intendersi, è lui ad aver fatto diventare Dropbox il colosso che conosciamo oggi.
Nel 2010, capitò che Ellis dovesse trovare qualcuno che lo sostituisse in una startup, e mise annunci per cercare un marketing manager. Così facendo, però, si rese conto che chi si presentava al colloquio non esprimeva le caratteristiche che servivano.
Coniò così il termine di growth hacker e lo definì con queste parole:
“A growth hacker is a person whose true north is GROWTH”.
Ovvero, una persona il cui vero scopo è la CRESCITA.
Vista la definizione e la storia da cui è nato il termine, si può capire perché sia così recente e strettamente collegato al mondo delle startup.
Una startup, infatti, se da una parte è circondata da un alone romantico perché viene vista come seme di innovazione, in realtà deve fronteggiare degli ostacoli molto concreti:
Ecco dunque spiegata l’inadeguatezza dei marketing manager, che pure in un’azienda “normale” sono comunque insostituibili, e la necessità di una figura che sappia sfruttare tutti gli elementi in suo possesso col solo e unico scopo di un’espansione potente e in breve tempo. Questo avviene sfruttando in particolare il terreno che per le startup è il più fertile, ovvero il web e tutto ciò che vi si collega.
Rispetto a un marketer tradizionale, che ha un ampio spettro di funzioni e lavora anche con pubblicità, PR e prodotti per la maggior parte tangibili, il pane quotidiano del growth hacker sono per lo più prodotti informatici, traffico, tracciamento, analisi dei dati e conversioni: deve perciò possedere competenze di programmazione, informatica nonché… creatività e capacità di immedesimazione col cliente.
Sì, perché gli esempi più famosi di un growth hacking di successo sono stati proprio quelli in cui il motivo di propagazione del prodotto è stato posto all’interno del prodotto stesso sfruttando la fiducia del cliente: in questo modo, egli viene reso promoter in prima persona, rendendo partecipe la sua community che diventa un ottimo bacino di nuovi clienti e contatti, permettendo un’espansione a macchia d’olio.
Vediamone qualcuno:
Insomma il growth hacker sembra proprio una professione appassionante… chi svolge questa funzione nella tua startup?