Come accogliere e formare nel modo migliore una nuova risorsa in azienda? Per evitare demotivazione e bassa produttività, la tecnica del mentoring va presa in considerazione: ecco alcune buone pratiche perché sia fruttuosa.
L’inserimento in un nuovo contesto non è mai semplice: il “primo giorno” di qualcosa (una nuova esperienza, una nuova scuola, un nuovo corso, ma soprattutto un nuovo lavoro o una nuova mansione) è sempre avvolto da un alone di fascino e di aspettativa.
Durante i giorni precedenti, la mente inizia a viaggiare su come saranno le persone che incontreremo, se ci sarà qualcuno che ci starà particolarmente simpatico, sulle nuove nozioni o mansioni che impareremo, sui nuovi stimoli che trarremo…. ma anche sulle tante difficoltà che potrebbero presentarsi, dalle più minime (ad esempio dove trovare parcheggio o imparare la pianta dell’edificio) a quelle riguardanti le nuove responsabilità.
La situazione non è sicuramente delle migliori quando, entrando nel nuovo contesto, alla luce delle tante domande che vengono e verranno fuori, non si riceve la giusta accoglienza.
È vero, ci sono alcuni soggetti che traggono adrenalina e voglia di fare proprio da queste situazioni, e non vedono l’ora di fronteggiare l’ignoto; è certo però che un processo di apprendimento graduale e guidato, grazie a un affiancamento, sarebbe una sicura opportunità di progresso più veloce e, se non privo di errori, almeno con obiettivi chiari; ci sarebbe inoltre la possibilità di correggersi presto e bene, allenandosi ad emettere giudizi sull’esperienza dialogando con qualcuno di esperto.
È proprio qui che entra in gioco il mentoring: esso è il rapporto di formazione lavorativa che si instaura tra una persona di maggiore esperienza (mentor) con una meno esperta (mentee o junior).
In realtà, nonostante la parola inglese, questa esperienza è possibile in ogni ambito della vita, e fin dalla più tenera età: d’altronde, la parola italiana “mentore” prende origine da un personaggio dell’Odissea incaricato da Ulisse di prendersi cura e incoraggiare il figlio Telemaco.
Perciò potresti aver già incontrato un “mentore”, durante la storia della tua vita: può essere stato un insegnante, un amico, un maestro, insomma chiunque ti abbia guidato nell’apprendimento di qualcosa.
Tuttavia, può accadere che in ambito lavorativo la figura del “mentore” sia ben precisa e decisa a priori in modo strutturato e regolato, e non lasciata alla naturale evoluzione dei rapporti umani: ciò accade in modo tale da garantire un inserimento veloce della nuova risorsa umana.
Ma quali sono le caratteristiche che deve avere un “mentoring” ben riuscito? In che modo si deve comportare un mentor e quali sono le giuste dinamiche che si devono instaurare con un mentee?
Proviamo a capirlo insieme.
Nel normale instaurarsi delle relazioni nella vita di tutti i giorni, il rapporto con un maestro, con un mentore, “càpita” in modo naturale, in base ad interessi comuni o normale e semplice simpatia umana abbinata all’avere gli stessi obiettivi, o semplicemente grazie all’incontro tra un bisogno di imparare e una disponibilità a devolvere la propria “expertise”.
Le due persone, insomma, si “scelgono” all’interno delle circostanze casuali.
Nell’ambiente lavorativo, questo non è sempre possibile: perciò è giusto che l’attività di mentoring sia ben regolata da determinate caratteristiche, in modo tale che entrambe le parti in campo possano dare del loro meglio, anche se l’iniziativa personale e una giusta disposizione di apertura verso l’altro è il primo elemento da mettere in campo:
E tu cosa ne pensi? Nella tua azienda c’è un servizio di mentoring? A te è stato offerto quando sei arrivato?