In questo articolo, ci concentreremo però sulla possibilità di ottimizzare i costi, approfondendo nel dettaglio il trattamento fiscale dei buoni pasto e le disposizioni che ne regolano la tassazione.
Prima di concentrarci sull’aspetto normativo che regola il circuito dei buoni pasto, è opportuno capire perché si tratti di una soluzione davvero vantaggiosa, sia per le aziende, sia per i collaboratori.
In questa indagine pubblicata da IPSOS, si può trovare la classifica dei benefit aziendali più diffusi e desiderati che colloca al primo posto per utilizzo proprio i buoni pasto. Introdotti negli anni Settanta in Italia come soluzione alternativa al servizio di mensa aziendale, oggi sono tra le soluzioni più apprezzate da collaboratori e imprese, anche per l’opportunità di registrare un risparmio sensibile sui costi aziendali.
Nei prossimi paragrafi, vedremo, le tre cose più importanti da conoscere sul trattamento fiscale dei buoni pasto.
I buoni pasto cartacei si presentano sotto forma di un blocchetto di tagliandi che riportano il valore facciale del buono, il nome dell’azienda e quello dell’utilizzatore. La versione elettronica del buono pasto è invece una tessera dotata di microchip (simile alle carte di credito), leggibile da uno specifico POS in dotazione agli esercenti che aderiscono alla rete di accettazione.
La Legge di Bilancio 2020 ha disposto modifiche importanti che riguardano nello specifico le soglie massime di defiscalizzazione:
La quota non sottoposta a tassazione è stata quindi ridotta nel caso dei buoni pasto cartacei, che prima dell’aggiornamento ammontava a 5,29€. L’importo non sottoposto a imposizione fiscale per quanto riguarda il formato elettronico è invece salito da 7 a 8 euro con l’approvazione della Legge di Bilancio 2020.
Questo aggiornamento normativo si è perfettamente allineato alla tendenza che vede la sempre maggiore diffusione di strumenti digitali e smart, buoni pasto compresi, anche in virtù della praticità e della semplicità di utilizzo del formato elettronico.
La legge attualmente in vigore stabilisce che le spese sostenute dall'azienda per mettere a disposizione dei collaboratori i buoni pasto siano deducibili per competenza ai fini delle imposte dirette IRPEF, IRES e IRAP. Si specifica che, per potere usufruire di questo vantaggio, è obbligatorio dedurre i costi in riferimento al periodo in cui il collaboratore ha usufruito del servizio. L’IVA è invece interamente detraibile con aliquota fissata al 4%.
Le aziende che scelgono di offrire un’indennità sostitutiva del servizio di mensa devono sostenere i costi della comune tassazione. Questa opzione, infatti, va a comporre l’imponibile contributivo e fiscale, dal momento che è erogata direttamente in busta paga a integrazione della retribuzione dovuta al collaboratore.
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La scelta di una soluzione rispetto all’altra dovrebbe prevedere un’analisi approfondita dei costi da sostenere da parte dell’azienda e degli effettivi vantaggi per i collaboratori.
I buoni pasto rappresentano una soluzione pratica e completa che negli anni ha conosciuto uno sviluppo e ha visto incrementare le possibilità di utilizzo (arrivato a un massimo di 8 buoni pasto per transazione al giorno) e l’ampliamento della rete di esercizi commerciali che possono essere convenzionati al servizio. Le aziende che scelgono di mettere a disposizione dei propri collaboratori i buoni pasto si trovano di fronte a un’opportunità di diffondere benessere e contribuire concretamente al miglioramento della qualità della vita dei loro collaboratori, con un benefit estremamente pratico e apprezzato.
Nell’articolo di oggi, abbiamo esaminato la normativa che regola il trattamento fiscale dei buoni pasto, il benefit aziendale più diffuso in Italia. Oltre ai numerosi vantaggi indiretti, tra cui il maggior benessere che determina un incremento della motivazione dei collaboratori e delle performance, abbiamo visto come si possa ottenere un risparmio concreto anche dal punto di vista contributivo.
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